Fonte: Pinguinomag.it – Guido Grasso
Ebbene sì, è arrivato il momento di fare chiarezza e mettere un po’ di ordine sulla parola cuoco e su cosa voglia dire lavorare come chef in un ristorante.
Dopo il boom di iscrizioni negli Istituti Alberghieri di tutta Italia molti riflettori sono puntati su alcuni reality show che fanno sognare a bocca aperta giovani aspiranti chef, ma proprio questi ragazzi, illusi al punto giusto ma non adeguatamente preparati, al primo servizio in cucina gettano la spugna.
Lavorare come chef non è Cracco che ti fa i complimenti.
Basta dire a questi aspiranti cuochi stellati che essere impiegato in un ristorante vuol dire lavorare anche il sabato e la domenica, anche quando per gli altri è festa, anzi, soprattutto quando gli altri festeggiano. Sai cosa succede? Beh, scappano a gambe levate. Letteralmente.
Guardando passivamente la televisione non è affatto possibile rendersi conto di quante e quali siano le rinunce legate a questa professione: la cucina non è un set televisivo in cui, bruciata la prima, rifai la scena.
No, per nulla: lavorare come chef vuol dire rinunciare alla prima teatrale che aspetti da anni, perdersi l’ultima uscita al cinema del colossal di cui tutti parlano (a pranzo o a cena, gustando i tuoi piatti), un poco anche alle amicizie che la sera si incontrano per scaricare su una cena in compagnia le tensioni della giornata lavorativa.
Probabilmente sarai troppo stanco per praticare metodicamente il tuo sport preferito. Perfino il tempo per dare il giusto peso all’amore ed ai sentimenti può risentirne.
E, con quello, tutto ciò che ci gira attorno, la famiglia, i figli, una comoda idea di futuro.
Non voglio farlo sembrare il peggiore dei lavori: io, letteralmente, ne sono innamorato. Solo è importante capire che raggiungere gli obiettivi richiede, sempre, che tu sia uno chef o un pallanuotista, impegno, passione, dedizione che sfocia nell’abnegazione.
Lavorare come chef suona molto cool. Bene, sappi che è un mestiere avido di energie, richiede tanti sacrifici ed è qualificato, nei contratti di lavoro, con la categoria “operaio”.
Nulla togliendo agli operai, che portano pesi anche fisici dalla mattina alla sera, però pure il cuoco fa un lavoro manuale, fisico e per tutto il tempo di lavoro dimentica la sedia, ti tocca trottare fino all’aver deliziato il palato esigente dell’ultimo cliente in sala. La tua missione è quella, dar piacere attraverso il senso del gusto e, prima ancora, della vista e dell’olfatto.
Lavorare come chef fuori dai set televisivi
Altro che fari led e trucco per renderti più bello! I nostri fedeli compagni di viaggio sono ambienti angusti, spesso fuori norma, in alcuni casi estremi perfino pericolosi. Circondati da affilatissime lame di ogni foggia, col passo tremolante per evitare la chiazza d’olio senza rovesciare il pentolone in cui bolle l’acqua a cento gradi, sbuffando come un vecchio treno a vapore, entri in cella frigorifera completamente sudato, con la cacofonica melodia di cappe, frullatori, comande urlate ed ordini impartiti e ricevuti.
Il concerto infernale dal sapore salato del sudore che ti riga il volto. Che faccio, chiamo il trucco? No, decisamente è quanto di più lontano si possa immaginare da un set televisivo con le divise linde ed immacolate: in cucina ci si sporca e anche tanto!
Sai qual è lo stress test di lavorare come chef? Lavorare anche 16 ore di fila, perché la parte che amo, quella proprio di lavorare come chef, non è l’unica cosa che facciamo. Selezionare con cura gli alimenti, conservarli in maniera adeguata per preservare fragranze ed aromi che il nostro sole, la nostra terra e il nostro mare generosamente ci donano, preparare il menu e coordinare il personale di cucina.
Lavorare come chef è anche lavare i piatti
E poi, alla fine, lavare i piatti. Di solito lo fa il più “duro” della brigata, fra noi è una specie di prova di forza, dopo una estenuante giornata. Lavorare come chef può voler dire, a volte, lavare i piatti per dare il buon esempio al team e rendere immacolata la cucina, per darle lo splendore di tempio del gusto che merita. Perché in pentola non bolle solo l’acqua, salata al punto giusto, delle fettuccine allo scoglio, dentro ci sono i nostri sogni, le nostre ambizioni che dobbiamo tenere a fuoco lento per non farle svanire assieme al vapore.
Ma questo non succede: un vero capo, uno che davvero vuole lavorare come chef, deve saper tenere su il sorriso anche quando gli occhi stanchi si chiudono: quella pacca sulla spalla, “Bravo, ottimo lavoro“, devi sempre essere in grado di darla. I rapporti umani sono importanti, sempre centrali nella ricerca di un buon risultato, anche perché la gratificazione economica non è proprio stellare.
Lavorare come chef, gioie e sapori
In questo periodo è dura per tutti ma la responsabilità che comporta lavorare come chef in un ristorante non si riflette quasi mai in un compenso adeguato. Adeguato alle ore lavorative, alla concorrenza spietata di di operatori del settore poco onesti, alle critiche spocchiose del telespettatore di cucine da incubo. Secondo le stime de l’Espresso, lo stipendio medio è di 1.000 euro al mese e i capipartita non superano i 1.400 euro, con tutele e garanzie che rasentano lo zero, rendendo ancora più salato quel sudore ghiacciato in cella frigorifera.
Grande assente: un sindacato che tuteli la categoria, un albo professionale che tracci una linea ferma ed evidente tra professionisti ed hobbisti, un ente ufficiale che conosca le nostre problematiche e sappia affrontarle con coraggio e determinazione.
Sei ancora convinto che fare il cuoco o lavorare come chef sia facile o possa diventare un trampolino di lancio verso il mondo dello spettacolo? Sai che lì tutto è posticcio? Che il product placement detta legge sulla scelta degli ingredienti, che il sapore, forse, è di plastica come il tuo telecomando?
Ma molto più di questo, in quelle veloci rappresentazioni di un mondo complesso come la cucina, manca tanto, troppo dell’essere umano. Manca l’adrenalina durante il servizio, la paura di deludere clientele che, morso dopo assaggio, sei riuscito pazientemente a creare. I clienti, quelli veri, io li amo. Non quelli che stentano a pronunciare nomi di piatti francesi ma sono prontissimi a pontificare sul tuo impiattamento. Impiattamento, ecco, ora lo sento dire più di selfie. D’altra parte, se oggi spesso ci si improvvisa nei più diversi campi, quanto deve essere semplice diventare un abile critico culinario con quattro video lezioni?
Lavorare come chef, un amore di gioventù
Qual è stato il periodo più bello della tua vita? Ricordo mia madre, gli occhi gonfi di lacrime e quel muoversi rapido delle sue mani, perfetto e minuzioso di chi gestisce la casa meglio di una impresa, mentre mi prepara le valigie. Occhi gonfi di pianto, sì, ma il cuore traboccante di genuino orgoglio: partivo per un viaggio interminabile, inseguendo la mia passione con la scintilla dell’avventura nello sguardo, l’ambizione di un sognatore in testa, la sfrontatezza della gioventù nel corpo.
In Calabria poi in Toscana, per imparare, amare, sognare e piangere, per capire tanto, tanto che va oltre la forchetta giusta per il piatto adatto al palato esigente. Cucinare e conoscere, amare le ricette e le persone, assaggiare e gustare le une e le altre.
In Sardegna ho avuto la possibilità di misurare le mie capacità grazie agli insegnamenti di veri maestri in un 5 Stelle Lusso. Poi, finalmente, la mia amatissima Puglia. Tanta esperienza, qualche capello grigio, ma stessa scintilla d’amore, forse meno sfrontatezza.
Facile abbandonarsi ai ricordi, agli amori perduti ma mai dimenticati: la donna di un cuoco deve essere davvero speciale per tenere a bada il fuoco di chi col fuoco ci lavora. Comprensiva deve esserlo di certo per sopportare l’odore dei nostri vestiti quando, ormai a notte fonda, torniamo a casa soddisfatti ed esausti. Spesso è lei che ci fa tornare il sorriso visto sul volto di centinaia di clienti soddisfatti. Per noi lei è proprio come il cibo che prepariamo con tutto il cuore: una piccola opera d’arte fatta di sapori e odori. E di voglia di divorarla, un pezzettino alla volta.
Lavorare come chef, lo avrai capito, non è una bazzecola. Che tu sia un cliente, un aspirante cuoco, un aiuto in cucina, prima di pretendere un pranzo nuziale quando la cucina è già chiusa, di atteggiarti ad esperto di piatti gourmet per far colpo sulla biondina a cui basterebbe un primitivo scadente, fermati e rifletti. Pensa all’esperienza di anni, guadagnata faticosamente, allo studio dietro ogni ingrediente, all’attenzione alla tua, solo tua, soddisfazione a tavola.
Tanti di noi amano donare il proprio lavoro: c’è chi, chiuso il locale, si dedica alla creazione di nuovi piatti, chi prepara, freschi di giornata, prodotti per panifici e pizzerie. Alcuni cucinano nelle mense dei poveri, altri si dedicano a conviviali abbuffate tra amici. Il mondo di cui facciamo parte, noi che ci saziamo quando voi mangiate, è pieno di poesia.
Spegni la tv e ama il tuo cuoco, come lui ama te!